Nota di CGIL, CISL e UIL.
La voglia di contrapporre idee e modelli di sviluppo delle infrastrutture portuali italiane ha alimentato il dibattito negli ultimi anni – sterilmente aggiungiamo noi. Dalle prerogative di Trieste o Venezia per la fascia adriatica a quelle di Genova, piuttosto che Livorno, per la fascia tirrenica o ligure, disquisizioni recenti come quella della Via della Seta, e meno recenti come il corridoio La Valletta – Helsinki, ci hanno fatto dimenticare la centralità della piattaforma Italia, nel cuore del Mediterraneo, e la sua naturale porta d’ingresso che è caratterizzata dal Porto di Gioia Tauro. I Governi che nell’ultimo lustro (per non andare troppo dietro nel tempo) si sono susseguiti, più o meno sbadatamente non si sono accorti che, mentre in Patria per miope autoreferenzialità si cincischiava a capire su quale singolo porto per flusso di merci investire provvedimenti random, in modo più strutturale e più ambizioso il Porto di Tangeri in Marocco, occupava la scena del Mediterraneo e globale, con una movimentazione commerciale da far arrossire anche i più grandi statisti (ammesso che il nostro Paese possa ancora vantarne).
Ebbene, management e governance, insieme agli ‘intellettuali della portualistica’ italiana, anziché sviluppare un modello d’insieme puntando sulla posizione strategica di Gioia Tauro, e perché no, di Augusta – i cui fondali, perché profondi e difficilmente insabbiabili, favorirebbero l’attracco dei giganti del mare – non hanno capito che la nostra penisola è un basamento logistico naturale proiettato sull’Africa, a due passi da Suez. Un collegamento concettualmente e infrastrutturalmente indissolubile tra Europa e Mediterraneo. Invece, si pensi, Tangeri incasella numeri da record: movimenta quasi 10 milioni di teus l’anno, oltre 700 mila tir ed un milione di veicoli. Un Governo che ha letteralmente rinunciato a questa idea nel momento in cui ha deciso che l’alta velocità dovesse fermarsi a Salerno. Ma ancor prima, quando non ha dato respiro alla Zes di Gioia Tauro.
Un incentivo di defiscalizzazione, uno strumento concreto che avrebbe dovuto sostenere aziende, pmi e l’indotto del retro porto. Infatti, l’attuale meccanismo di incentivi della Zes prevede il credito d’imposta per i grandi gruppi industriali che fatturano miliardi di euro dunque in una visione che veda la Zes di Gioia Tauro incastonata in un sistema Paese che attui scelte di politiche industriali soprattutto oggi con l’ arrivo dei miliardi del Recovery Fund, come CGIL CISL UIL Metropolitane, pensiamo potrà essere un importante viatico per la ripresa economica dell’intero Mezzogiorno, non trascurando che anche la piccola e media impresa locale potrebbe avere un futuro serio che gratifichi l’occupazione e che potrebbe sviluppare, finalmente, l’intera area della piana di Gioia Tauro. Se pur con qualche dato incoraggiante degli ultimi mesi, il Porto di Gioia Tauro ha tenuto botta rispetto alla paralisi economica e commerciale dovuta alla pandemia da Covid-19, ma il dato che emerge rispetto alla centralità che sta assumendo Tangeri nel Mediterraneo, è che in Italia manca il coraggio di far ripartire il Mezzogiorno. Altrimenti non si spiega questa stasi, questa apatia su un tema che dovrebbe rubare ogni priorità ai Ministri dei Trasporti e delle Infrastrutture, per non parlare dei ‘famigerati’ Ministri per il Sud. Unico caso al mondo forse, che per antonomasia al Governo si riconosce una questione meridionale, dedicandole appositamente un dicastero. Ma ben venga se questo si occupasse di attivare un processo economico di sviluppo che partisse dalle reali infrastrutture. Infrastrutture ovviamente già esistenti e con un potenziale tale da dare un nuovo volto, al Sud, all’Italia e all’Europa. Progetti per oltre 30 miliardi rimasti nel cassetto. Per citarne alcuni: completamento asse viario Statale 106; asse ferroviario AV/AC Battipaglia-Reggio Calabria; realizzazione stabile Sicilia-Europa; per non parlare di ingenti finanziamenti su Napoli, Bari e Sicilia. Parliamo di Fondi Europei e Statali che avrebbero dato slancio al Mezzogiorno e alla sua logistica; dal punto di vista stradale, ferroviario e di collegamento con le infrastrutture quale il Porto di Gioia Tauro.
Queste economie permetterebbero all’Italia di essere egocentrica rispetto al commercio Europeo. Perché se è vero che dall’altra parte, sul versante Atlantico, a fare la voce grossa ci pensa l’Olanda con i porti di Amsterdam e Rotterdam, monopolizzando il traffico con l’America Orientale; è anche vero che Gioia tauro stenta ad accaparrarsi questa leadership della logistica del Mediterraneo nonostante la sua posizione sia la più strategica del globo del vecchio continente.
Partendo dalle reali esigenze del porto è evidente che adesso bisogna andare oltre il transhipment, puntando alla concreta prospettiva del retroporto, diversificando le attività, aprendo i container e lavorando le merci, valorizzando realmente le enormi potenzialità dell’infrastruttura e del suo indotto.
In questo processo di collocazione economica e commerciale, occorre che il governo, insieme alla regione Calabria e alla Metrocity, mettendo in piedi un piano strategico che, attraverso la realizzazione delle opere ‘collaterali’, proietti Gioia Tauro nel palcoscenico dei grandi poli logistici ed infrastrutturali. Basta perdere tempo!
Cgil Reggio Calabria Cgil Piana di Gioia Tauro Cisl Reggio Calabria Uil Reggio Calabria
Gregorio Pititto Celeste Logiacco Rosi Perrone Nuccio Azzarà