Annamaria Furlan su ‘Il Mattino’: “Il Paese è in emergenza, ai partiti dico: fate presto”

Ha fatto bene il Presidente Mattarella a lanciare l’allarme sulle tre emergenze del Paese: sanitaria, sociale, economica. Milioni di lavoratori e di famiglie hanno bisogno di risposte urgenti e concrete. I partiti hanno il dovere di trovare rapidamente una soluzione alla crisi politica. Mi pare che si siano dimenticati dei bisogni reali delle persone.

Non si può più perdere tempo: c’é una campagna vaccinale da portare avanti. Bisogna avviare un confronto vero sui ristori, su come riformare gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi oggi è senza tutele, varare una vera riforma delle politiche attive del lavoro.

Il Recovery Plan è una occasione di sviluppo straordinaria. Ma non bisogna sprecare nemmeno un euro. È necessario dare certezza agli investimenti, riqualificare e modernizzare i servizi sociali, puntare sulla digitalizzazione, sull’innovazione, sulla tutela del territorio. Occorre una assunzione di responsabilità di tutti: regioni, comuni, parti sociali.

Annamaria Furlan su ‘Avvenire’: “Un Patto sociale la vera fiducia”

«Oggi va recuperata anzitutto la fiducia del Paese. E per ottenerla, la via maestra è quella di un vero Patto sociale». Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, offre al governo una sponda importante su cui fare affidamento, ma al tempo stesso sfida l’esecutivo ad aprirsi realmente al confronto con le parti sociali – sindacati, imprese, terzo settore – ad affrontare i progetti concreti del Recovery plan per mettere in moto le riforme necessarie a che il Paese riparta davvero.

Che cosa dovrebbe fare adesso Conte secondo voi: cercare di allargare la maggioranza o passare la mano a un altro governo con maggiore solidità?
Individuare le formule politiche e le soluzioni migliori non compete al sindacato. Certo, non possiamo immaginare lunghe crisi, estenuanti, perché il Paese non sopravviverebbe. I sindacati e le altre parti sociali debbono invece impegnarsi con le istituzioni e la politica per definire il futuro del Paese basato su protezione della salute, lavoro, sviluppo, riduzione delle diseguaglianze. Nel dibattito in Parlamento ho sentito grande attenzione ai numeri: quelli dei voti per la fiducia. Ma ai cittadini oggi interessano in realtà altre cifre: i decessi, i contagi, i mancati guadagni, i posti di lavoro persi e quelli a rischio. Ecco nel dibattito politico si avverte la mancanza di attenzione ai bisogni reali degli italiani. Il Governo deve prioritariamente tornare a mettere al centro – oltre alle vaccinazioni e al rafforzamento del sistema sanitario – il tema del lavoro, la gestione del Recovery plan, le riforme e gli investimenti per lo sviluppo.

Il premier Conte ha ringraziato il sindacato e l’ha lodato per la collaborazione…
In realtà è da un anno che proponiamo un confronto serrato per arrivare a un patto sociale con cui gestire il processo di cambiamento di cui Paese ha bisogno. Ma non siamo mai stati convocati sul Recovery. Ringrazio per le belle parole, ma Conte farebbe bene a convocarci subito per aprire il confronto sul decreto ristori, la cassa Covid, la proroga del blocco dei licenziamenti che chiediamo. E poi partiamo con una progettazione comune sulla revisione degli ammortizzatori sociali, le politiche attive del lavoro, la sanità, la scuola, le riforme di pubblica amministrazione e fisco. Non dobbiamo più perdere un minuto sul Recovery plan.

Volete entrare nella governance del Recovery plan?
Concertazione, Patto sociale, lo chiamino come preferiscono, ma noi vogliamo in sostanza condividere gli obiettivi, progettare assieme gli interventi e monitorarne gli sviluppi. Certo che le parti sociali devono far parte della governance del Recovery plan, sia per l’ideazione che per il monitoraggio. Non stiamo inventando nulla di nuovo: lo abbiamo fatto coi governi Ciampi e Prodi. Ma soprattutto è la stessa Unione Europea a prevedere che la gestione dei fondi comunitari avvenga attraverso il dialogo e il partenariato sociale. Siamo in ritardo, rimbocchiamoci le maniche rimettendo al centro la persona e il lavoro, come indicato anche nell’enciclica Fratelli tutti.

I sindacati, però, sono legittimi portatori di interesse non sempre generale. Ad esempio, avete appena organizzato uno sciopero del pubblico impiego – non condiviso da buona parte del Paese – perché ritenevate scarse le risorse per il contratto.
E invece quello sciopero aveva ragioni generali, non solo particolari di categoria. Perché aveva come obiettivo anzitutto la riforma della Pubblica amministrazione, questione quantomai attuale. La Pubblica amministrazione va rafforzata, dopo anni di tagli, anzitutto nella sanità, ma anche negli altri comparti. Con investimenti per la digitalizzazione, la formazione e l’assunzione di personale, anche nella scuola. Su cui vorrei finisse il dibattito teorico apertura sì o no e ci si impegnasse veramente invece per creare le condizioni concrete per il ritorno alle lezioni in presenza. Con vaccini agli insegnanti, tamponi rapidi per gli studenti, riorganizzazione dei trasporti. Questo va fatto, basta dibattiti ideologici.

Il divieto di licenziamento non può essere eterno. Le imprese non lo vogliono e il governo ipotizza uno sblocco parziale e graduale, voi invece insistete per mantenerlo in maniera generale.
La pandemia continua, il rallentamento dell’economia è ancora forte. La cassa Covid va allungata in maniera significativa e il blocco dei licenziamenti va mantenuto per un periodo congruo. Nel frattempo riformiamo gli ammortizzatori, estendendone la copertura, e costruiamo delle vere politiche attive del lavoro. Per quanto riguarda le proposte del governo, siamo pronti a confrontarci. A un vero tavolo, però, non attraverso i giornali.

È così anche per le pensioni? Proporrete forme di prepensionamento per uscire dalla crisi?
Aspettiamo si apra una discussione seria che tenga presente un fattore fondamentale: non tutti i lavori e non tutti i lavoratori sono uguali. La flessibilità in uscita garantisce equità. Discutiamone, assieme al grande tema di come assicurare pensioni dignitose ai giovani, e decidiamo insieme.

Pensa davvero che sia possibile un grande Patto sociale?
Mettiamo tutte le carte in tavola, confrontiamoci, impieghiamo al meglio tutti i fondi europei del Next Generation Eu. Noi dobbiamo scongiurare la disperazione di chi perde il lavoro e compiere scelte che non solo favoriscano lo sviluppo ma che soprattutto costruiscano speranza. Questa è la vera fiducia di cui c’è bisogno. E questo si può fare solo tutti insieme.

“Rischio di un’ennesima occasione persa per la Metrocity. Mancano risorse per infrastrutture, trasporti e giovani”

Il Recovery Plan varato dal Consiglio dei Ministri dimostra la miopia di un Governo che rinuncia a valorizzare il sud e soprattutto la Calabria. Estendendo di fatto il gap tra ragioni del Nord e quelle del Mezzogiorno. Il ‘Piano di ripresa e di resilienza’ che sacrifica pilastri essenziali per la ripartenza come infrastrutture e i trasporti, poteva realmente rappresentare l’ultima occasione per cancellare un’ingiustizia storica, legata inesorabilmente ad una ‘questione meridionale’ mai risolta. Nessun grande progetto per la Calabria e per una delle dieci Metrocity del Paese. Nulla! Infatti, poli logistici importanti come il porto di Gioia Tauro, o come gli agganci di collegamento dei tre aeroporti calabresi, per non parlare dell’Area integrata dello Stretto, non compaiano nell’agenda del piano di oltre 220 miliardi che avrebbe l’arduo compito di cambiare le sorti della Calabria e di conseguenza, dell’area metropolitana di Reggio Calabria, finestra funzionale e strategica sul Mediterraneo.

La mancata visione di un gruppo dirigente, nonostante una crisi di governo inaspettata, non può essere giustificata in alcun modo. Interventi che, non solo non qualificano le proposte su un processo reale di sviluppo e di ricadute economiche sulla Calabria, ma ne aggravano le prospettive in particolare per la Metrocity. Nulla su programmazione delle infrastrutture, e nulla sulla valorizzazione dell’assett dei trasporti. Nulla di concreto per le infrastrutture lineari stradali tranne la dorsale ionica (ma si tratta di interventi già previsti). I temi dell’alta velocità e del sistema portuale restano nel cassetto dunque, al netto di spot dei Ministri che si sono susseguiti in nei due ‘Governi Conte’ (Toninelli prima e De Micheli adesso). Per non parlare della deputazione calabrese, a prescindere dal colore politico di appartenenza: un silenzio agghiacciante! I nostri rappresentanti non fanno nulla per impedire che l’Italia venga divisa in due.

Basta leggere il piano per capire che i  grandi porti del Mezzogiorno a partire da Gioia Tauro, sono stati sbeffeggiati! Una visione miope che non ha  guardato  con interesse di sviluppo l’ area della Metrocity reggina che, affacciandosi sul Mediterraneo può  essere, attraverso la valorizzazione e investimenti seri, il trait d’ union con l’ Europa. Ma oltre l’aspetto infrastrutturale che riguarda il sistema di collegamenti e quello portuale, e il loro effettivo rilancio, il Recovery Plan trascura colpevolmente la parte più importante del futuro della nazione. Infatti nella bozza di documento, mancano risorse importanti per i giovani e per le politiche giovanili. Questi due temi non sono considerati abbastanza, perché una programmazione imponente come ‘Next generation’ avrebbe dovuto essere più ambiziosa. Manca una vera cerniera di connessione che possa mettere in collegamento attivo e funzionale il mondo universitario accademico con il mondo del lavoro attraverso piani di inserimento finanziati con risorse derivanti da recovery. Poche risorse anche sulla formazione e l’approccio scolastico, come strumento deterrente contro la dispersione scolastica in un periodo nel quale il disorientamento e la disgregazione sociale a tempi del Covid sta prendendo il sopravvento. Mancano fondi diretti ai comuni e alle realtà territoriali che possono lavorare alla costruzione di una nuova comunità sociale e aggregativa; accogliamo dunque Il grido d’allarme lanciato da Anci giovani con il quale si chiede coraggio e lungimiranza ad una classe dirigente che ha dimostrato, di stilare un recovery plan al chiuso di poche stanze non coinvolgendo parti sociali e territori, in quello che è definito il nuovo piano Marshall per l’Italia.

Noi non ci fermiamo! Chiamiamo alla protesta pacifica le istituzioni metropolitane, i presidenti delle conferenze dei sindaci e i consiglieri metropolitani che saranno in carica nel breve. La responsabilità delle scelte deve partire dalla consapevolezza e dalla visione programmatica che viene dal basso, e rivendicare dignità e sviluppo nelle sedi governative dove si maturano le grandi scelte! Noi CGIl CISL UIL  metropolitane ci siamo!

        Cgil Reggio               Cgil Piana                     Cisl                           Uil 

  Gregorio Pititto    Celeste Logiacco    Rosi Perrone      Nuccio Azzarà

Gioia Tauro, il Porto, la Zes e l’opportunità mancata del Mediterraneo

Nota di CGIL, CISL e UIL.

La voglia di contrapporre idee e modelli di sviluppo delle infrastrutture portuali italiane ha alimentato il dibattito negli ultimi anni – sterilmente aggiungiamo noi. Dalle prerogative di Trieste o Venezia per la fascia adriatica a quelle di Genova, piuttosto che Livorno, per la fascia tirrenica o ligure, disquisizioni recenti come quella della Via della Seta, e meno recenti come il corridoio La Valletta – Helsinki, ci hanno fatto dimenticare la centralità della piattaforma Italia, nel cuore del Mediterraneo, e la sua naturale porta d’ingresso che è caratterizzata dal Porto di Gioia Tauro. I Governi che nell’ultimo lustro (per non andare troppo dietro nel tempo) si sono susseguiti, più o meno sbadatamente non si sono accorti che, mentre in Patria per miope autoreferenzialità si cincischiava a capire su quale singolo porto per flusso di merci investire provvedimenti random, in modo più strutturale e più ambizioso il Porto di Tangeri in Marocco, occupava la scena del Mediterraneo e globale, con una movimentazione commerciale da far arrossire anche i più grandi statisti (ammesso che il nostro Paese possa ancora vantarne).

Ebbene, management e governance, insieme agli ‘intellettuali della portualistica’ italiana, anziché sviluppare un modello d’insieme puntando sulla posizione strategica di Gioia Tauro, e perché no, di Augusta – i cui fondali, perché profondi e difficilmente insabbiabili, favorirebbero l’attracco dei giganti del mare – non hanno capito che la nostra penisola è un basamento logistico naturale proiettato sull’Africa, a due passi da Suez. Un collegamento concettualmente e infrastrutturalmente indissolubile tra Europa e Mediterraneo. Invece, si pensi, Tangeri incasella numeri da record: movimenta quasi 10 milioni di teus l’anno, oltre 700 mila tir ed un milione di veicoli. Un Governo che ha letteralmente rinunciato a questa idea nel momento in cui ha deciso che l’alta velocità dovesse fermarsi a Salerno. Ma ancor prima, quando non ha dato respiro alla Zes di Gioia Tauro.

Un incentivo di defiscalizzazione, uno strumento concreto che avrebbe dovuto sostenere aziende, pmi e l’indotto del retro porto. Infatti, l’attuale meccanismo di incentivi della Zes prevede il credito d’imposta per i grandi gruppi industriali che fatturano miliardi di euro dunque in una visione che veda la Zes di Gioia Tauro incastonata in un sistema Paese che attui scelte di politiche industriali soprattutto oggi con l’ arrivo dei miliardi del Recovery Fund, come CGIL CISL UIL Metropolitane, pensiamo potrà essere un importante viatico per la ripresa economica dell’intero Mezzogiorno, non trascurando che anche la piccola e media impresa locale potrebbe avere un futuro serio che gratifichi l’occupazione e che potrebbe sviluppare, finalmente, l’intera area della piana di Gioia Tauro. Se pur con qualche dato incoraggiante degli ultimi mesi, il Porto di Gioia Tauro ha tenuto botta rispetto alla paralisi economica e commerciale dovuta alla pandemia da Covid-19, ma il dato che emerge rispetto alla centralità che sta assumendo Tangeri nel Mediterraneo, è che in Italia manca il coraggio di far ripartire il Mezzogiorno. Altrimenti non si spiega questa stasi, questa apatia su un tema che dovrebbe rubare ogni priorità ai Ministri dei Trasporti e delle Infrastrutture, per non parlare dei ‘famigerati’ Ministri per il Sud. Unico caso al mondo forse, che per antonomasia al Governo si riconosce una questione meridionale, dedicandole appositamente un dicastero. Ma ben venga se questo si occupasse di attivare un processo economico di sviluppo che partisse dalle reali infrastrutture. Infrastrutture ovviamente già esistenti e con un potenziale tale da dare un nuovo volto, al Sud, all’Italia e all’Europa. Progetti per oltre 30 miliardi rimasti nel cassetto. Per citarne alcuni: completamento asse viario Statale 106; asse ferroviario AV/AC Battipaglia-Reggio Calabria; realizzazione stabile Sicilia-Europa; per non parlare di ingenti finanziamenti su Napoli, Bari e Sicilia. Parliamo di Fondi Europei e Statali che avrebbero dato slancio al Mezzogiorno e alla sua logistica; dal punto di vista stradale, ferroviario e di collegamento con le infrastrutture quale il Porto di Gioia Tauro.

Queste economie permetterebbero all’Italia di essere egocentrica rispetto al commercio Europeo. Perché se è vero che dall’altra parte, sul versante Atlantico, a fare la voce grossa ci pensa l’Olanda con i porti di Amsterdam e Rotterdam, monopolizzando il traffico con l’America Orientale; è anche vero che Gioia tauro stenta ad accaparrarsi questa leadership della logistica del Mediterraneo nonostante la sua posizione sia la più strategica del globo del vecchio continente.

Partendo dalle reali esigenze del porto è evidente che adesso bisogna andare oltre il transhipment, puntando alla concreta prospettiva del retroporto, diversificando le attività, aprendo i container e lavorando le merci, valorizzando realmente le enormi potenzialità dell’infrastruttura e del suo indotto.

In questo processo di collocazione economica e commerciale, occorre che il governo, insieme alla regione Calabria e alla Metrocity, mettendo in piedi un piano strategico che, attraverso la realizzazione delle opere ‘collaterali’, proietti Gioia Tauro nel palcoscenico dei grandi poli logistici ed infrastrutturali. Basta perdere tempo!

Cgil Reggio Calabria   Cgil Piana di Gioia Tauro   Cisl Reggio Calabria   Uil Reggio Calabria

  Gregorio Pititto                  Celeste Logiacco            Rosi Perrone         Nuccio Azzarà

Annamaria Furlan su ‘La Repubblica’: “Non si licenzia ma serve una legge per imporre l’obbligo”

Se una legge non stabilisce l’obbligo di vaccinarsi, allora nessun datore di lavoro può arbitrariamente decidere il licenziamento. Una legge “ad hoc” servirebbe, eccome: è urgente ed opportuna, visto il numero dei morti che contiamo ogni giorno. Ma bisogna evitare liti e carte bollate.

Nella sanità, l’autista di un bus, l’insegnante, la lavoratrice di un supermercato, il bancario, i lavoratori dei servizi postali possono evitare di vaccinarsi? Io credo di no.

Come hanno sottolineato Papa Francesco ed il Presidente Mattarella, ognuno deve fare la sua parte in questa battaglia. Datori di lavoro e sindacati dovrebbero dare vita ad una campagna di informazione che l’intero sistema dei media dovrebbe sostenere. Vaccinarsi è un dovere.

Annamaria Furlan su ‘Il Messaggero’: “Stellantis, ora il governo impari a fare sistema”

La nascita di Stellantis dalla fusione tra Fca ed il gruppo Psa è una svolta positiva per il nostro sistema industriale. Per il sindacato è fondamentale che tutti i siti produttivi presenti in Italia siano salvaguardati e con gli stabilimenti l’occupazione.

Dobbiamo coinvolgere le persone nel destino dell’ impresa. Per questo é necessario redistribuire con equità la ricchezza, creare nuovi soggetti imprenditoriali, favorire il lavoro dei giovani, facendo crescere il tessuto della piccola e media industria.

La partecipazione é la strada per alzare produttività e salari, accantonando l’antagonismo sterile, per un nuovo incontro tra capitale e lavoro, come ci indica anche la nuova enciclica di Papa Francesco.

“Incontro con Falcomatà dopo le Elezioni Metropolitane”

Nota unitaria CGIL, CISL E UIL

 E’ opportuno mettere in agenda  l’incontro confronto con il Sindaco Falcomatà,  dopo le elezioni  per il rinnovo del Consiglio Metropolitano. La nostra interlocuzione e il confronto sui temi esplicitati nel nostro documento  riguardano  l’intero territorio metropolitano e non solo quello del Comune capoluogo. Nel rispetto dunque, della completa definizione dell’assetto metropolitano, e per quanto concerne il nostro mandato di rappresentanza che si riferisce all’intera provincia, incontreremo il Sindaco Metropolitano, dopo la composizione del Consiglio Metropolitano, dopo la definizione dei delegati, e soprattutto per attivare un confronto costante che tenga in netta considerazione le Conferenze dei Sindaci dei territori e gli stessi consiglieri “metro”. Dopo il 24 gennaio pronti a discutere del futuro e delle prerogative politiche e sociali della Città Metropolitana.

 

Cgil Reggio Calabria   Cgil Piana di Gioia Tauro   Cisl Reggio Calabria   Uil Reggio Calabria

  Gregorio Pititto                  Celeste Logiacco                    Rosi Perrone         Nuccio Azzarà

L’intervento di Annamaria Furlan su ‘Il Sole 24 Ore’: Recovery, per accelerare governance partecipata dalle parti sociali

Non si può progettare il futuro del Paese nel chiuso dei palazzi ministeriali o con le dispute nella maggioranza. Occorrono scelte condivise. Questo il piano strategico in dieci punti che la Cisl proporrà al Governo ed alle altri parti sociali per l’utilizzo delle risorse europee:

1. RIPARTIRE DALLE FONDAMENTA: LAVORO, ISTRUZIONE E FORMAZIONE – La chiave sta in una riforma delle politiche attive, ben saldate ad ammortizzatori sociali rinnovati, semplificati, universali. È poi necessario innovare il nostro modello formativo, con una riforma che abbracci tutta la filiera della formazione, dalla scuola, all’università, alla riqualificazione professionale. È fondamentale migliorare il funzionamento della cassa integrazione, sostenere i percorsi di transizione per i disoccupati, potenziare i contratti di solidarietà, incentivare i programmi di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. (…)

2. SALUTE E POLITICHE SOCIALI COME PIATTAFORME DI CRESCITA SOCIOECONOMICA – È necessario aumentare i fondi destinati alla sanità e gli investimenti in tecnologie sanitarie, digitali e di Telemedicina; potenziare l’organico assumendo nuovi operatori e stabilizzando il precariato; potenziare la rete di professionisti che si occupano della prevenzione e delle cure primarie sul territorio. Serve una svolta sullo stato sociale e sulla non autosufficienza, aumentare gli assegni pensionistici e riconoscere maggiore flessibilità in uscita dal mercato del lavoro. (…)

3. A TUTTA VELOCITÀ: INDUSTRIA E NUOVE INFRASTRUTTURE – Vanno sbloccate e portate a termine le reti di trasporto strategiche incompiute; investire in infrastrutture al Sud per spezzare l’isolamento di alcune aree e fasce di popolazione; ammodernare e rendere più efficienti le strutture. L’Italia è la seconda potenza industriale d’Europa. Piazzamento che va preservato, con una politica industriale che difenda e rilanci gli asset strategici della manifattura, a partire dall’acciaio e dall’automotive, della chimica e dal tessile, dall’agroalimentare all’elettronica e l’informatica, fino all’artigianato e al turismo. (…)

4. AL PASSO CON IL FUTURO: L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE – C’è da incrementare la spesa pubblica in ricerca e sviluppo, sia di base che applicata, con nuovi grandi progetti di rilevanza scientifica, aumentando retribuzione e numero di borse di ricerca; incentivare gli investimenti privati, estendendo il piano “Industria 4.0”, in particolare nei settori ICT, Health e Aerospace, in cui i Paesi UE sono ancora indietro rispetto a USA e Cina.

5. IL DOMANI È VERDE: LA TRANSIZIONE ALLA GREEN ECONOMY – Vanno supportati modelli di business sostenibili e circolari, e sostenuta la creazione di nuovi posti di lavoro in ambito green, con incentivi alle aziende e investimenti pubblici; occorre disincentivare l’utilizzo di combustibili fossili con riduzione dei sussidi e introduzione del carbon pricing (imposta sulle emissioni di CO2) e adeguare le norme relative al trattamento di rifiuti e scarti; incentivare il rinnovo di trasporti pubblici e privati con quelli a basso impatto ambientale, primariamente elettrico e ibrido; investire in ricerca e sviluppo per abbattere limiti e costi della transizione.

6. NORD E SUD: COLMARE IL DIVARIO È prioritario contrastare il gap occupazionale tramite sgravi contributivi per le imprese che assumono stabilmente e fanno formazione, riattivare la mobilità sociale, contrastare la “trappola” della povertà educativa minorile. (…)

7. PARI OPPORTUNITÀ: PREMIAMO IL MERITO, NON IL GENERE – Dobbiamo disegnare una strategia più ampia e con visione di lungo periodo volta a colmare il divario occupazionale e salariale, che premi il merito indipendentemente dal genere e poi rinforzare i servizi all’infanzia; favorire e incoraggiare il welfare contrattuale volto alla conciliazione vita-lavoro; promuovere un cambiamento culturale che ridefinisca il ruolo della donna.

8. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: MENO BUROCRAZIA, PIÙ INVESTIMENTI ED EFFICIENZA- Bisogna alleggerire la normativa vigente e le procedure burocratiche; digitalizzare le infrastrutture, investendo in formazione digitale per i lavoratori pubblici; riconsiderare le modalità di lavoro della PA sulla base di un modello agile contrattato; incentivare la produttività valorizzando la contrattazione nazionale decentrata e legando meglio le retribuzioni alla performance; implementare meccanismi obbligatori di rotazione dirigenziale; ampliare gli ambiti di applicabilità di autocertificazione e meccanismi di silenzio-assenso in tempi garantiti; investire in tecnologie Cloud e sicurezza informatica.

9. GIOVANI E FUTURO: UN NUOVO PATTO GENERAZIONALE PER GARANTURE EQUITÀ E SOLIDARIETÀ – Va sbloccato l’ascensore sociale, che in Italia porta tra l’altro migliaia di cervelli ad emigrare, migliorando le possibilità di accesso al mondo del lavoro tramite ulteriori de-contribuzioni e nuovi meccanismi di apprendistato.

10. SMART-WORKING: IL FUTURO DEL LAVORO È AGILE – Occorre riconsegnare la materia al libero ed autonomo esercizio contrattuale, supportare l’intera popolazione aziendale con hardware, software e training in soft skill; la normalizzazione dello smart-working dovrà passare per la comunione tra parti sociali, aziende ed istituzioni, che dovranno definire in concerto la declinazione più corretta ​e appropriata per le diverse realtà produttive.